IL VISSUTO D'ABBANDONO

 



Il film “I giorni dell’abbandono” di Roberto Faenza con Margherita Buy e Luca Zingaretti, tratta il tema dell'essere lasciati e della sofferenza che ne consegue.

Un tema complesso da trattare che è stato molto rappresentato al cinema.  

La protagonista di questo film, Olga, interpretata da un'intensa Margerita Buy, una borghese benestante sposata con due figli, viene lasciata dal marito, interpretato da Luca Zingaretti, senza un apparente motivo: all’inizio sembra solo una pausa di riflessione ma poi si scopre che il marito, ha da tempo una relazione con una donna più giovane.

Nel film vengono narrate molto bene le varie fasi dell’abbandono: lo sconcerto iniziale, la negazione, la rabbia, la depressione ed infine la ripresa ad una vita normale attraverso un rinnovato interesse per un altro uomo, il vicino di casa che l’amava in segreto da tempo, uno stralunato Goran Bregovic, il noto musicista bosniaco. 

Sullo schermo vediamo, nella prima parte, una Margherita Buy disperata, sempre più persa, depressa, che sta a letto per giorni interi senza occuparsi dei figli, ancora non autonomi, e con la quale lo spettatore tende ad identificarsi e ad empatizzare.

Chi, infatti, nella vita non è mai stato abbandonato, lasciato da qualcuno/a? 

Chi non si è mai sentito proprio come Olga che man mano impariamo a conoscere? 

Vivere tale tipo di esperienza è, da un punto di vista psicologico, un vero e proprio lutto, e come tale, stravolge chi lo subisce. Soprattutto se è un evento inaspettato che ci tramortisce, perchè va a sradicare le nostre sicurezze, le nostre certezze, i nostri appigli, stravolgendo il ritmo della nostra vita di tutti i giorni. Proprio come avviene se siamo esposti ad un trauma. 

Come tutti i lutti, ha bisogno di un tempo “fisiologico” per essere superato, elaborato. 

L’elaborazione di un lutto di questo tipo necessita appunto di un tempo, che non può essere uguale per tutti, perchè ognuno reagisce alla stessa situazione in un modo completamente diverso. Non c'è un tempo "giusto".

Ma se a questo tempo soggettivo non viene concesso uno spazio, lo spazio del dolore, della sofferenza, nelle sue varie declinazioni, si rischia di non riuscire a passare ad una fase successiva meno drammatica, a superare la “ferita narcisistica” che ci ha provocato chi ci ha abbandonato e si corre il rischio di rimanere fermi, per esempio, nelle fasi delle recriminazioni, della voglia di vendetta, che spesso si può attuare attraverso i figli, con risvolti a volte, purtroppo, anche molto drammatici.

In tali casi chi ne paga le conseguenze maggiori sono purtroppo appunto i figli, specialmente se ancora piccoli, che vengono strumentalizzati dai genitori. Il prezzo, però, spesso è troppo alto, anche per i genitori stessi.

Nel film c’è una scena importante in cui i due protagonisti, passato il periodo delle liti, delle scenate e degli scontri inevitabili, del rancore, parlano del perchè il loro rapporto sia finito, del motivo per cui il marito ha lasciato la moglie e lui le spiega, con estrema semplicità e franchezza, che ad un certo punto ha smesso di amarla, ma non sa spiegarsi come sia successo e le chiede se non amare più la propria compagna possa essere una colpa. Lei, serenamente, ora, riesce a dire di no.

A quel punto, però, può rispondere in questo modo al marito perchè è riuscita a passare ad un'altra fase. Ha già elaborato la sua ferita ed è in grado anche di parlarne con la persona che le ha causato un così grande dolore, la stessa persona con cui peraltro voleva condividere il resto della sua vita.

Soprattutto è riuscita ad andare oltre, a provare interesse per un’altra persona di cui potersi nuovamente fidare, aprendosi all'altro e al mondo.

Nessuno dice che sia facile ma è possibile.



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