Si può convivere con un segreto?





Il protagonista del film francese "Tre giorni e una vita" è un dodicenne solitario che abita in un piccolo paese delle Ardenne che provoca inavvertitamente la morte di un suo amico, di qualche anno più giovane, occultandone il corpo nel bosco. 

Il fatto, che accade dopo una ventina di minuti dall'inizio del film, non è l'unico evento drammatico a cui assistiamo: due notti dopo infatti il paese verrà travolto e devastato da un'inondazione di enormi proporzioni che sposterà l'attenzione della polizia e dei suoi abitanti dalla ricerca del corpo del bambino scomparso alle conseguenze del cataclisma.  
Il film mi ha colpito, innanzitutto per la potenza della vicenda che mi ha "preso" per l'intera durata della pellicola, ma anche per la regia misurata, ma non "fredda" (cosa non scontata trattandosi di un giallo), e per la bravura degli attori, tutti molto convincenti.
Sono diversi i temi correlati a quello principale, la difficoltà di convivere con un segreto terribile del passato, che sono presenti in questo film: il forte senso di colpa che ne consegue, la possibilità  di continuare a fare la propria vita, "quasi" come se niente fosse accaduto, il fatto che il passato può tornare, anche a distanza di diversi anni, con tutto il suo carico, catapultandoci in quella situazione da cui tutto ha avuto origine. 
Può il protagonista del film, che all'epoca dei fatti aveva appena dodici anni, convivere con un macigno del genere da portarsi dietro, di cui non può parlare con nessuno, continuando a vedere i genitori del bimbo e sua madre che non sospetta nulla? 
L'alluvione che travolge e che porta via quasi tutto, che viene ben rappresentato, che semina morte e distruzione (purtroppo siamo sempre più abituati ad osservare queste scene drammatiche alla tv) , è vero che riesce a distogliere, per anni, l'attenzione degli abitanti e della polizia ma non riesce a lavare e a cancellare tutto.  Anzi:  a trauma si somma trauma, anche perchè il corpo non viene trovato per anni. 
Perchè è vero che Antoine vive il suo personale dramma che lo accompagnerà per tanti anni della sua giovane vita ma anche l'intera comunità vive un trauma collettivo a cui viene a  sommarsi un altro trauma solo pochi gioni dopo, seppur di diversa origine, a cui assiste inerme e che sconvolge le vite degli abitanti di un vasto territorio.   
Il fatto poi che il giovane protagonista, che vive un evento così tragico e  così soverchiante, non riesca a "confessare", a rivelare la verità a nessuno, anche se è stato un tragico incidente, aggiunge un carico ancora più pesante, come se la colpa non potesse essere narrata perchè troppo sconvolgente. 
E' proprio questo, infatti, quello che sentono tante persone che vivono eventi drammatici e che, a causa di essi, provano forti sensi di colpa e spesso un senso di vergogna. 
Non confessano una realtà indicibile da cui rifuggono perchè orrifica dalla quale, magari per difendersi, tendono a dissociarsi, distanziandosene emotivamente, perchè è troppo per loro. 
Nel film infatti la scioccante rivelazione sarebbe troppo per la madre di Antoine, rimasta sola ad occuparsi del figlio, che si fida a lasciare da solo a casa, troppo per i vicini che Antoine incontra tutti i giorni e che lo conoscono da sempre, troppo per la ragazza di cui era innamorato da giovane, troppo per l'intera comunità che ha un'idea di lui di "bravo ragazzo". 
Di dostoevskiana memoria, al delitto seguirà, col tempo, una redenzione del protagonista, diventato un giovane adulto, appena laureato in medicina con il progetto di andare a vivere molto lontano dal paese d'origine in cui avvenne la tragedia.  
La presa di consapevolezza rispetto all'assunzione di responsabilità avverrà, però, soprattutto grazie all'aiuto del medico prossimo alla pensione, un importante punto di riferimento affettivo e normativo  per Antoine, che lo capirà non giudicandolo. Proprio come dovrebbe essere un padre. 
 Spero di non aver svelato troppo della trama a chi non l'ha visto.

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